10. 13. E qui s’intende viltade per degenerazione, la quale a la nobilitade s’oppone; con ciò sia cosa che l’uno contrario non sia fattore de l’altro né possa essere, per la prenarrata cagione la quale brevemente s’aggiugne al testo, dicendo: Poi chi pinge figura [Se non può esser lei, non la può porre]. 2. E per dare esperienza di ciò, grida sussequentemente lo testo: E qual donna gentil questo non crede, Vada con lei e miri. Capitolo XV, Trattato Quarto 15. 13. 5. 10. 5. 6. Questa è quella magnificenza, de la quale parlò il Salmista, quando dice a Dio: “Levata è la magnificenza tua sopra li cieli”. Li numeri, li ordini, le gerarchie narrano li cieli mobili, che sono nove, e lo decimo annunzia essa unitade e stabilitade di Dio. 5. E veduto questo, da distinguere è intra loro ‘inreverente’ [e ‘non reverente’. Ad evidenza de la prima parte, da reducere a memoria è che di sopra si dice che se nobilitade vale e si stende più che vertute, [vertute] più tosto procederà da essa. Che con ciò sia cosa che intra dissimili amistà essere non possa, dovunque amistà si vede similitudine s’intende; e dovunque similitudine s’intende corre comune la loda e lo vituperio. 7. 2018/2019 La terza è lo quinto e l’ultimo verso: ne la quale sì vuole l’uomo parlare a l’opera medesima, quasi a confortare quella. Onde si legge ne le storie d’Ercule, e ne l’Ovidio Maggiore e in Lucano e in altri poeti, che combattendo con lo gigante che si chiamava Anteo, tutte volte che lo gigante era stanco, e elli ponea lo suo corpo sopra la terra disteso o per sua volontà o per forza d’Ercule, forza e vigore interamente de la terra in lui resurgea, ne la quale e de la quale era esso generato. E però ultimamente dico che da etterno, cioè etternamente, fu ordinata ne la mente di Dio in testimonio de la fede a coloro che in questo tempo vivono. Volendo la ’nmensurabile bontà divina l’umana creatura a sé riconformare, che per lo peccato de la prevaricazione del primo uomo da Dio era partita e disformata, eletto fu in quello altissimo e congiuntissimo consistorio de la Trinitade, che ’l Figliuolo di Dio in terra discendesse a fare questa concordia. 4. miri costei ch’è essemplo d’umiltate! Ove è da sapere che, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l’Anima, l’anima è atto del corpo: e se ella è suo atto, è sua cagione; e però che, sì come è scritto nel libro allegato de le Cagioni, ogni cagione infonde nel suo effetto de la bontade che riceve da la cagione sua, infonde e rende al corpo suo de la bontade de la cagione sua, ch’è Dio. 7. Così de la induzione de la perfezione seconda le scienze sono cagione in noi; per l’abito delle quali potemo la veritade speculare, che è ultima perfezione nostra, sì come dice lo Filosofo nel sesto de l’Etica, quando dice che ’l vero è lo bene de lo intelletto. Non avrebbe lo latino così servito a molti: ché se noi reducemo a memoria quello che di sovra è ragionato, li litterati fuori di lingua italica non averebbono potuto avere questo servigio, e quelli di questa lingua, se noi volemo bene vedere chi sono, troveremo che de’ mille l’uno ragionevolmente non sarebbe stato servito; però che non l’averebbero ricevuto, tanto sono pronti ad avarizia che da ogni nobilitade d’animo li rimuove, la quale massimamente desidera questo cibo. Ed è bel modo rettorico quando di fuori pare la cosa disabbellirsi, e dentro veramente s’abbellisce. Li quali sono tanto inumani peccati, che ad iscusare sé de l’infamia di quelli, si concede da lunga usanza che uomo parli di sé, sì come detto è di sopra, e possa dire sé essere fedele e leale. Per che ora volendo loro apparecchiare, intendo fare un generale convivio di ciò ch’i’ ho loro mostrato, e di quello pane ch’è mestiere a così fatta vivanda, sanza lo quale da loro non potrebbe esser mangiata. 6. 4. Quanto spronare fu quello, quando esso Enea sostenette solo con Sibilla a intrare ne lo Inferno a cercare de l’anima di suo padre Anchise, contra tanti pericoli, come nel sesto de la detta istoria si dimostra! 5. Ché avvegna che Dio, esso medesimo mirando, veggia insiememente tutto, in quanto la distinzione de le cose è in lui per [lo] modo che lo effetto è ne la cagione, vede quelle distinte. che prendon aire e diventan sospiri. Per che manifesto è a noi quelle creature [essere] l in lunghissimo numero; per che la sua sposa e secretaria Santa Ecclesia – de la quale dice Salomone: “Chi è questa che ascende del diserto, piena di quelle cose che dilettano, appoggiata sopra l’amico suo?” – dice, crede e predica quelle nobilissime creature quasi innumerabili. Ché] io, prima che a la sua composizione venisse, parendo a me questa donna fatta contra me fiera e superba alquanto, feci una ballatetta ne la quale chiamai questa donna orgogliosa e dispietata: che pare esser contra quello che qui si ragiona di sopra. 20. 15. E quinci nasce che mai a dottrina non vegnono; credendo da sé sufficientemente essere dottrinati, mai non domandano, mai non ascoltano, disiano essere domandati e, anzi la domandagione compiuta, male rispondono. 8. Così fosse piaciuto a Dio che quello che addomandò lo Provenzale fosse stato, che chi non è reda de la bontade perdesse lo retaggio de l’avere! E ciò rompe la loro sentenza medesima, quando dicono che tempo si richiede a nobilitade, ponendo questo vocabulo ‘antico’; però ch’è impossibile per processo di tempo venire a la generazione di nobilitade per questa loro ragione che detta è, la quale toglie via che villano uomo mai possa esser gentile per opera che faccia, o per alcuno accidente, e toglie via la mutazione di villano padre in gentile figlio. Capitolo XXIX Onde è da sapere che ciascuna cosa, come detto è di sopra, per la ragione di sopra mostrata ha ’l suo speziale amore. 7. 6. Sì che, se la mia considerazione mi transportava in parte dove la fantasia venia meno a lo ’ntelletto, se io non potea intendere non sono da biasimare. E quello che massimamente è dilettoso a noi, quello è nostra felicitade e nostra beatitudine, oltre la quale nullo diletto è maggiore, né nullo altro pare; sì come veder si puote, chi bene riguarda la precedente ragione. 13. Questo vedemo ne le religioni, ne li esserciti, in tutte quelle cose che sono, come detto è, a fine ordinate. 6. 12. E queste tutte parole sono di Tullio, e così giacciono in quello libro che detto è. E a maggiore testimonianza di questa imperfezione, ecco Boezio in quello De Consolatione dicente: “Se quanta rena volve lo mare turbato dal vento, se quante stelle rilucono, la dea de la ricchezza largisca, l’umana generazione non cesserà di piangere”. E non puose Iddio le mani proprie a la battaglia dove li Albani con li Romani, dal principio, per lo capo del regno combattero, quando uno solo Romano ne le mani ebbe la franchigia di Roma? Sì come dice Aristotile nel secondo de l’Anima, “vivere è l’essere de li viventi”; e per ciò che vivere è per molti modi (sì come ne le piante vegetare, ne li animali vegetare e sentire e muovere, ne li uomini vegetare, sentire, muovere e ragionare, o vero intelligere), e le cose si deono denominare da la più nobile parte, manifesto è che vivere ne li animali è sentire – animali, dico, bruti -, vivere ne l’uomo è ragione usare. 16. 9. Ciò è a dire: l’operazione vostra, cioè la vostra circulazione, è quella che m’ha tratto ne la presente condizione. Ché più licito né più cortese modo di fare a sé medesimo altri onore non è, che onorare l’amico. 3. O dolcissimi e ineffabili sembianti, e rubatori subitani de la mente umana, che ne le mostrazioni de li occhi de la Filosofia apparite, quando essa con li suoi drudi ragiona! Veramente in voi è la salute, per la quale si fa beato chi vi guarda, e salvo da la morte de la ignoranza e da li vizii. E questa parte in questa vita perfettamente lo suo uso avere non puote – lo quale averà in Dio ch’è sommo intelligibile -, se non in quanto considera lui e mira lui per li suoi effetti. 11. E non sanza cagione dico: là ’v’ella mi senta, e non là dov’io la senta; ma in ciò voglio dare a intendere la grande virtù che li suoi occhi aveano sopra me: ché, come s’io fosse stato [vetro], così per ogni lato mi passava lo raggio loro. 7. 6. Allora si troverà questa donna nobilissima quando si truova la sua camera, cioè l’anima in cui essa alberga. e dirò del valore, Ritornando al proposito, dico che la umana vita si parte per quattro etadi. La nona si è chiamata Veritade, la quale modera noi dal vantare noi oltre che siamo e da lo diminuire noi oltre che siamo, in nostro sermone. “Certi sono che, per esser del tutto diafani, non solamente ricevono la luce, ma quella non impediscono, anzi rendono lei del loro colore colorata ne l’altre cose. E a ciò vedere, è da sapere che, sì come dice Tullio in quello De Senectute, “certo corso ha la nostra buona etade, e una via semplice è quella de la nostra buona natura; e a ciascuna parte de la nostra etade è data stagione a certe cose”. 1. E la ragione che ciò mi dà si è che, se ’l colmo del nostro arco è ne li trentacinque, tanto quanto questa etade ha di salita tanto dee avere di scesa; e quella salita e quella scesa è quasi lo tenere de l’arco, nel quale poco di flessione si discerne. Chi diffinisce: ‘Omo è legno animato’, Ed è da sapere che questo arco [di giù, come l’arco] di su sarebbe eguale, se la materia de la nostra seminale complessione non impedisse la regola de la umana natura. 4. 8. E queste ore usa la Chiesa, quando dice Prima, Terza, Sesta e Nona, e chiamansi ore temporali. E dico che più volte a li malvagi che a li buoni pervengono li retaggi, legati e caduti; e di ciò non voglio recare innanzi alcuna testimonianza, ma ciascuno volga li occhi per la sua vicinanza, e vedrà quello che io mi taccio per non abominare alcuno. Dice: Vada con lei e miri li atti sui, cioè accompagnisi di questo amore, e guardi a quello che dentro da lui troverà. 3. Ma però che qui è fatta menzione di luce e di splendore, a perfetto intendimento mostrerò [la] differenza di questi vocabuli, secondo che Avicenna sente. 2. 9. 5. Io adunque, per queste ragioni, tuttavia sopra ciascuna canzone ragionerò prima la litterale sentenza, e appresso di quella ragionerò la sua allegoria, cioè la nascosa veritade; e talvolta de li altri sensi toccherò incidentemente, come a luogo e a tempo si converrà. E sì come vedemo che quello che dirittissimo vae a la cittade, e compie lo desiderio e dà posa dopo la fatica, e quello che va in contrario mai nol compie e mai posa dare non può, così ne la nostra vita avviene: lo buono camminatore giugne a termine e a posa; lo erroneo mai non l’aggiugne, ma con molta fatica del suo animo sempre con li occhi gulosi si mira innanzi. Sì come è detto di sopra, la invidia è sempre dove è alcuna paritade. Degna di molta riprensione è quella cosa che, ordinata a torre alcuno difetto, per sé medesima quello induce; sì come quelli che fosse mandato a partire una rissa e, prima che partisse quella, ne iniziasse un’altra. 13. E così manifestamente vedere si può che generalmente questo vocabulo, cioè nobilitade, dice in tutte cose perfezione di loro natura: e questo è quello che primamente si cerca, per meglio entrare nel trattato de la parte che esponere s’intende. Capitolo XIII 8. 1. 7. 16. Prima l’amore de l’anima, speziale a questi luoghi; secondamente l’amore universale che le cose dispone ad amare e ad essere amate, che ordina l’anima ad adornare queste parti. La quale proseguendo, dico che – poi ch’è manifesto come per cessare disconvenevole disordinazione e come per prontezza di liberalitade io mi mossi al volgare comento e lasciai lo latino – l’ordine de la intera scusa vuole ch’io mostri come a ciò mi mossi per lo naturale amore de la propria loquela; che è la terza e l’ultima ragione che a ciò mi mosse. Poi, quando dice: Ché solo Iddio a l’anima la dona, ragione è del suscettivo, cioè del subietto dove questo divino dono discende: ch’è bene divino dono, secondo la parola de l’Apostolo: “Ogni ottimo dato e ogni dono perfetto di suso viene, discendendo dal padre de’ lumi”. E quale buono uomo mai per forza o per fraude procaccerà? E questo mostrare si volea. e sua persona adorna di bieltate 6. Li atti soavi ch’ella mostra altrui Questo è quello speziale pensiero, del quale detto è di sopra che solea esser vita de lo cor dolente. Onde alcuno già si trasse li occhi, perché la vergogna d’entro non paresse di fuori; sì come dice Stazio poeta del tebano Edipo, quando dice che “con etterna notte solvette lo suo dannato pudore”. Sì come l’ordine vuole ancora dal principio ritornando, dico che questa donna è quella donna de lo ’ntelletto che Filosofia si chiama. Veramente dunque bella e convenevole comparazione fu del cielo a l’umana nobilitade. che li occhi di color dov’ella luce 10. 8. 10. Onde l’altre anime dire non si possono donne, ma ancille, però che non per loro sono ma per altrui; e lo Filosofo dice, nel secondo de la Metafisica, che quella cosa è libera, che per sua cagione è, non per altrui. CAPITOLO 1 COMMENTO. di sì alti miracoli adornezza, faccia che li occhi d’esta donna miri, Canzone, io credo che saranno radi E qui si vede s’umil è sua loda; che, perfetta o imperfetta, nome di perfezione non perde. 5. Certo e manifesto esser dee, rimembrando la vita di costoro e de li altri divini cittadini, non sanza alcuna luce de la divina bontade, aggiunta sopra la loro buona natura, essere tante mirabili operazioni state; e manifesto esser dee, questi eccellentissimi essere stati strumenti, con li quali procedette la divina provedenza ne lo romano imperio, dove più volte parve esse braccia di Dio essere presenti. 5. ch’io nol so dire altrui, sì mi par novo. L’altra proprietade del Sole ancor si vede nel numero, del quale è l’Arismetrica: che l’occhio de lo ’ntelletto nol può mirare; però che ’l numero, quant’è in sé considerato, è infinito, e questo non potemo noi intendere. Queste sono undici vertudi dal detto Filosofo nomate. Dice ‘cortese’: nulla cosa sta più bene in donna che cortesia. E quelle cose che prima non mostrano li loro difetti sono più pericolose, però che di loro molte fiate prendere guardia non si può; sì come vedemo nel traditore, che ne la faccia dinanzi si mostra amico, sì che fa di sé fede avere, e sotto pretesto d’amistade chiude lo difetto de la inimistade. 14. 13. In questa parte adunque si procede per via probabile a sapere che ogni sopra detta virtude, singularmente o ver generalmente presa, proceda da nobilitade sì come effetto da sua cagione. 2. Ne l’altre intelligenze è per modo minore, quasi come druda de la quale nullo amadore prende compiuta gioia, ma nel suo aspetto contentan la loro vaghezza. Veramente Aristotile, che Stagirite ebbe sopranome, e Zenocrate Calcedonio, suo compagnone, [per lo studio loro], e per lo ’ngegno [eccellente] e quasi divino che la natura in Aristotile messo avea, questo fine conoscendo per lo modo socratico quasi e academico, limaro e a perfezione la filosofia morale redussero, e massimamente Aristotile. Onde, con ciò sia cosa che quella che è qui l’umana natura non pur una beatitudine abbia, ma due, sì com’è quella de la vita civile, e quella de la contemplativa, inrazionale sarebbe se noi vedemo quelle avere la beatitudine de la vita attiva, cioè civile, nel governare del mondo, e non avessero quella de la contemplativa, la quale è più eccellente e più divina. 14. E da questo viene questo vocabulo del quale al presente si tratta, cioè ‘autoritade’; per che si può vedere che ‘autoritade’ vale tanto quanto ‘atto degno di fede e d’obedienza’. 11. E lo cielo di Venere si può comparare a la Rettorica per due proprietadi: l’una si è la chiarezza del suo aspetto, che è soavissima a vedere più che altra stella; l’altra si è la sua apparenza, or da mane or da sera. L’anima s’intende, come detto è nel precedente capitolo, per lo generale pensiero, col consentimento. Dico adunque che dal principio sé stesso ama, avvegna che indistintamente; poi viene distinguendo quelle cose che a lui sono più amabili e meno, e più odibili [e meno], e seguita e fugge, e più e meno, secondo la conoscenza distingue non solamente ne l’altre cose, che secondamente ama, ma eziandio distingue in sé, che ama principalmente. Per che avviene che li altri miseri che ciò mirano, ripensando lo loro difetto, dopo lo desiderio de la perfezione caggiono in fatica di sospiri; e questo è quello che dice: Che li occhi di color dov’ella luce Ne mandan messi al cor pien di desiri, Che prendon aire e diventan sospiri. E questo è quello per che nel vetro piombato la imagine appare, e non in altro. Ma però che molte fiate avviene che l’ammonire pare presuntuoso, per certe condizioni suole lo rettorico indirettamente parlare altrui, dirizzando le sue parole non a quello per cui dice, ma verso un altro. 14. 1. Ancora è da sapere che ogni cosa che si corrompe, sì si corrompe, precedente alcuna alterazione, e ogni cosa che è alterata conviene essere congiunta con l’alterazione, sì come vuole lo Filosofo nel settimo de la Fisica e nel primo De Generatione. Riluce in essa le intellettuali e le morali virtudi; riluce in essa le buone disposizioni da natura date, cioè pietade e religione, e le laudabili passioni, cioè vergogna e misericordia e altre molte; riluce in essa le corporali bontadi, cioè bellezza, fortezza e quasi perpetua valitudine. E tutte queste cose fanno le passioni sopra dette, che vergogna volgarmente sono chiamate. 15. 17. Insegnamento. Li uomini hanno loro proprio amore a le perfette e oneste cose. E li liciti rade volte pervegnono a li buoni, perché, con ciò sia cosa che molta sollicitudine quivi si richeggia, e la sollicitudine del buono sia diritta a maggiori cose, rade volte sofficientemente quivi lo buono è sollicito. Lo latino conosce lo volgare in genere, ma non distinto: che se esso lo conoscesse distinto, tutti li volgari conoscerebbe, perché non è ragione che l’uno più che l’altro conoscesse; e così in qualunque uomo fosse tutto l’abito del latino, sarebbe l’abito di conoscenza distinto de lo volgare. “Mentre che in me fu lo sangue”, cioè la gioventute, “mentre che in me fu la maternale vertute”, cioè la senettute, che bene è madre de l’alte [vertu]di, sì come di sopra è mostrato, “io” dice Marzia “feci e compiei li tuoi comandamenti”, cioè a dire, che l’anima stette ferma a le civili operazioni. È gentilezza dovunqu’è vertute, diporrò giù lo mio soave stile, Né questo cotale prudente non attende [chi] li domandi ‘Consigliami’, ma proveggendo per lui, sanza richesta colui consiglia; sì come la rosa, che non pur a quelli che va a lei per lo suo odore rende quello, ma eziandio a qualunque appresso lei va. 8. E qui si può terminare la vera sentenza de la presente canzone. 11. E però che alcuna oppinione fanno ne l’altrui fama per udita, da la quale ne la presenza si discorda lo imperfetto giudicio che non secondo ragione ma secondo senso giudica solamente, quasi menzogna reputano ciò che prima udito hanno, e dispregiano la persona prima pregiata. E quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deitade che sola [sé] compiutamente vede. 1. 6. 8. Della Questio invece, che il 17. Mostra che esso fosse giusto, quando dice che esso fu partitore a nuovo popolo e distributore de la terra diserta sua. 3. Onde al cavaliere dee credere lo spadaio, lo frenaio, lo sellaio, lo scudaio, e tutti quelli mestieri che a l’arte di cavalleria sono ordinati. Dove è da sapere che dal principio essa filosofia pareva a me, quanto da la parte del suo corpo, cioè sapienza, fiera, ché non mi ridea, in quanto le sue persuasioni ancora non intendea; e disdegnosa, ché non mi volgea l’occhio, cioè ch’io non potea vedere le sue dimostrazioni: e di tutto questo lo difetto era dal mio lato. Io vi dirò del cor la novitate 6. Dove è da sapere che la moralitade è bellezza de la filosofia; ché così come la bellezza del corpo resulta da le membra in quanto sono debitamente ordinate, così la bellezza de la sapienza, che è corpo di Filosofia come detto è, resulta da l’ordine de le virtudi morali, che fanno quella piacere sensibilemente. Prima dico che per lo mondo io non intendo qui tutto ’l corpo de l’universo, ma solamente questa parte del mare e de la terra, seguendo la volgare voce, ché così s’usa chiamare: onde dice alcuno, ‘quelli hae tutto lo mondo veduto’, dicendo parte del mare e della terra. 6. Meglio sarebbe a voi come rondine volare basso, che come nibbio altissime rote fare sopra le cose vilissime. 11. e non si parte da l’uso de la ragione chi non ragiona il cammino che fare dee? 2. La trattazione del problema della lingua, centrale nel primo trattato del Convivio, viene svolta da Dante sotto diversi profili.Nei capitoli precedenti egli ha sottolineato il nesso esistente tra questione linguistica e funzione etico-politica della letteratura [].Nelle pagine successive a questo capitolo si soffermerà polemicamente sulle … 4. Certo tanto è, che molte volte contra la debita pietade lo figlio a la morte del padre intende: e di questo grandissime e manifestissime esperienze possono avere li Latini, e da la parte di Po e da la parte di Tevero! 7. E ponsi la qualitade de la reduzione, dicendo: Sì come face in angelo che ’l vede. Ma però che l’adolescenza non comincia dal principio de la vita, pigliandola per lo modo che detto è, ma presso a otto mesi dopo quella; e però che la nostra natura si studia di salire, e a lo scendere raffrena, però che lo caldo naturale è menomato, e puote poco, e l’umido è ingrossato (non però in quantitade, ma pur in qualitade, sì ch’è meno vaporabile e consumabile), avviene che oltre la senettute rimane de la nostra vita forse in quantitade di diece anni, o poco più o poco meno: e questo tempo si chiama senio. ha transmutata in tanto la tua vita, Che sia perfetta, è manifesto per lo Filosofo nel sesto de l’Etica, che dice la scienza essere perfetta ragione di certe cose. 9. 4. 14. 12. 7. Dico adunque che Iddio, che tutto intende (ché suo ‘girare’ è suo ‘intendere’), non vede tanto gentil cosa quanto elli vede quando mira là dove è questa Filosofia. Le quali tre cose era impossibile ad avere lo latino comento, e però era impossibile ad essere obediente. 17. E questo è quello che dico in questa parte. e quando tu sarai dico ne li occhi e nel suo dolce riso, Poi, com’è detto, comanda quello che far dee quest’anima ripresa per venir lei a sé, e lei dice: Mira quant’ell’è pietosa e umile; ché sono proprio rimedio a la temenza, de la qual parea l’anima passionata, due cose, e sono queste che, massimamente congiunte, fanno de la persona bene sperare, e massimamente la pietade, la quale fa risplendere ogni altra bontade col lume suo. 1. Per che le parole, che sono quasi seme d’operazione, si deono molto discretamente sostenere e lasciare, [sì] perché bene siano ricevute e fruttifere vegnano, sì perché da la loro parte non sia difetto di sterilitade. Sì che allora non giudica come uomo la persona, ma quasi come altro animale pur secondo l’apparenza, non discernendo la veritade. Download Full PDF Package. E però manifesto me veramente scusare quando dico: Di ciò si biasmi il debole intelletto E ’l parlar nostro, che non ha valore Di ritrar tutto ciò che dice Amore; ché assai si dee chiaramente vedere la buona volontade, a la quale aver si dee rispetto ne li meriti umani. Ché a me conviene lasciare per povertà d’intelletto molto di quello che è vero di lei, e che quasi ne la mia mente raggia, la quale come corpo diafano riceve quello, non terminando: e questo dico in quella seguente particula: E certo e’ mi conven lasciare in pria. Suol esser vita de lo cor dolente Ancora credette che lo cielo del Sole fosse immediato con quello de la Luna, cioè secondo a noi. E questo è quello per che lo sembiante, onesto secondo lo vero, ne pare disdegnoso e fero; e secondo questo cotale sensuale giudicio parlò quella ballatetta. È adunque manifesto che lo volgare darà cosa utile, e lo latino non l’averebbe data. E io adunque, che non seggio a la beata mensa, ma, fuggito de la pastura del vulgo, a’ piedi di coloro che seggiono ricolgo di quello che da loro cade, e conosco la misera vita di quelli che dietro m’ho lasciati, per la dolcezza ch’io sento in quello che a poco a poco ricolgo, misericordievolmente mosso, non me dimenticando, per li miseri alcuna cosa ho riservata, la quale a li occhi loro, già è più tempo, ho dimostrata; e in ciò li ho fatti maggiormente vogliosi. 6. Da la parte de l’anima è quando la malizia vince in essa, sì che si fa seguitatrice di viziose delettazioni, ne le quali riceve tanto inganno che per quelle ogni cosa tiene a vile. 19. Poi ch’è mostrato nel precedente capitolo quale è questo terzo cielo e come in sé medesimo è disposto, resta di mostrare chi sono questi che ’l muovono. Capitolo XXV Quello del pratico si è operare per noi virtuosamente, cioè onestamente, con prudenza, con temperanza, con fortezza e con giustizia; quello de lo speculativo si è non operare per noi, ma considerare l’opere di Dio e de la natura. Certo maggiormente di te parlare non si può che tacere, e seguire Ieronimo quando nel proemio de la Bibbia, là dove di Paolo tocca, dice che meglio è tacere che poco dire. né la diritta torre Veramente Plato e altri flosofi dissero che ’l nostro vedere non era perché lo visibile venisse a l’occhio, ma perché la virtù visiva andava fuori al visibile: e questa oppinione è riprovata per falsa dal Filosofo in quello del Senso e Sensato. Per che io, che ne la presente scrittura tengo luogo di quelli, da due macule mondare intendo primieramente questa esposizione, che per pane si conta nel mio corredo. tu le puoi dir per certo: 1. La settima si è Mansuetudine, la quale modera la nostra ira e la nostra troppa pazienza contra li nostri mali esteriori. quali sono le mense di cui parla dante? E lo soccorso dinanzi ciascuno die crescea, che far non potea l’altro, [te]men[d]o quello, che impediva in alcuno modo, a dare indietro, il volto; per che a me parve sì mirabile, e anche duro a sofferire, che io nol potei sostenere. 8. E, sì come dice lo Filosofo nel sesto de l’Etica, “impossibile è essere savio a chi non è buono”, e però non è da dire savio chi con sottratti e con inganni procede, ma è da chiamare astuto; ché sì come nullo dicerebbe savio quelli che si sapesse bene trarre de la punta d’uno coltello ne la pupilla de l’occhio, così non è da dire savio quelli che ben sa una malvagia cosa fare, la quale facendo, prima sé sempre che altrui offende. Di costei si può dire: E appresso queste tre parti generali, e altre divisioni fare si convegnono, a bene prender lo ’ntelletto che mostrare s’intende. 7. E soggiungo: Questo è, secondo che l’Etica dice, Un abito eligente, ponendo tutta la diffinizione de la morale virtù, secondo che nel secondo de l’Etica è per lo Filosofo diffinito. Ché lo stupore è uno stordimento d’animo, per grandi e maravigliose cose vedere o udire o per alcuno modo sentire: che, in quanto paiono grandi, fanno reverente a sé quelli che le sente; in quanto paiono mirabili, fanno voglioso di sapere di quelle. con le sue parti accorte; Veramente elli di ciò si scusa nel duodecimo de la Metafisica, dove mostra bene sé avere seguito pur l’altrui sentenza là dove d’astrologia li convenne parlare. 3. 5. Altri sono vizii consuetudinarii, a li quali non ha colpa la complessione ma la consuetudine, sì come la intemperanza, e massimamente, del vino: e questi vizii si fuggono e si vincono per buona consuetudine, e fassi l’uomo per essa virtuoso, sanza fatica avere ne la sua moderazione, sì come dice lo Filosofo nel secondo de l’Etica. E ’l suo aspetto era come folgore, e le sue vestimenta erano come neve”. 15. 3. Ché se volemo bene mirare al processo d’Aristotile nel quarto de l’Etica, e a quello di Tullio in quello de li Offici, la larghezza vuole essere a luogo e a tempo, tale che lo largo non noccia a sé né ad altrui. 9. Per che li amici de l’uno sono da l’altro amati, e li nemici odiati; per che in greco proverbio è detto: “De li amici essere deono tutte le cose comuni”. Viene alcuno da l’una parte de la campagna e vuole andare a una magione che è da l’altra parte; e per sua industria, cioè per accorgimento, e per bontade d’ingegno, solo da sé guidato, per lo diritto cammino si va là dove intende, lasciando le vestigie de li suoi passi diretro da sé. sì com’è ’l cielo dovunqu’è la stella, E Seneca dice però, che ne la morte d’Augusto imperadore vide in alto una palla di fuoco; e in Fiorenza, nel principio de la sua destruzione, veduta fu ne l’aere, in figura d’una croce, grande quantità di questi vapori seguaci de la stella di Marte. E non puose Iddio le mani quando uno nuovo cittadino di picciola condizione, cioè Tullio, contra tanto cittadino quanto era Catellina la romana libertà difese? 10. L’una è che parlare alcuno di sé medesimo pare non licito; l’altra è che parlare in esponendo troppo a fondo pare non ragionevole: e lo illicito e ’l non ragionevole lo coltello del mio giudicio purga in questa forma. 7. Lo secondo membro comincia: E poi che tempo mi par d’aspettare. Dice adunque, continuandosi a l’ultime sue parole: Non è vero che tu sie morta; ma la cagione per che morta ti pare essere, sì è uno smarrimento nel quale se’ caduta vilmente per questa donna che è apparita: – e qui è da notare che, sì come dice Boezio ne la Consolazione, “ogni subito movimento di cose non avviene sanza alcuno discorrimento d’animo” -; e questo vuol dire lo riprendere di questo pensiero. Lo pudore è uno ritraimento d’animo da laide cose, con paura di cadere in quelle; sì come vedemo ne le vergini e ne le donne buone e ne li adolescenti, che tanto sono pudici, che non solamente là dove richesti o tentati sono di fallare, ma dove pure alcuna imaginazione di venereo compimento avere si puote, tutti si dipingono ne la faccia di palido o di rosso colore. Meglio sarebbe a li miseri grandi, matti, stolti e viziosi, essere in basso stato, ché né in mondo né dopo la vita sarebbero tanto infamati. 2. 2. 6. Promettono le false traditrici, se bene si guarda, di torre ogni sete e ogni mancanza, e apportare ogni saziamento e bastanza; e questo fanno nel principio a ciascuno uomo, questa promissione in certa quantità di loro accrescimento affermando: e poi che quivi sono adunate, in loco di saziamento e di refrigerio danno e recano sete di casso febricante intollerabile; e in loco di bastanza recano nuovo termine, cioè maggiore quantitade a desiderio, e, con questa, paura grande e sollicitudine sopra l’acquisto.